Recensione carte per stampe a contatto

Carte per la stampa a contatto

Piccola recensione

Diego Ranieri aka chromemax

 

Le carte per la stampa a contatto sono una tipologia di carte caratterizzate da una sensibilità molto bassa che le rende adatte alla stampa per contatto dei negativi. Per stampa a contatto non si intende, o almeno non solo, la stampa dei provini ma al procedimento di stampa effettuato mettendo a contatto il negativo con la carta, senza l’ausilio dell’ingranditore, ottenendo così una stampa dello stesso formato del negativo. Per ovvie ragioni per questo procedimento di stampa sono più adatti negativi di grandi dimensioni che permettono di ottenere una stampa finale di dimensioni adeguate, ma anche la stampa a contatto di negativi di medio formato (6×6, 6×7, 6×9) può restituire delle miniature che possono avere un loro fascino e una loro bellezza una volta valorizzate con la giusta montatura. Non essendoci l’ulteriore passaggio dell’immagine attraverso l’obbiettivo dell’ingranditore, e alle relative aberrazioni, e non dovendo essere ingrandita, la nitidezza delle immagini è più alta di quella di qualsiasi altro sistema fotografico, la grana è sempre invisibile e la resa tonale è superiore non dovendo subire il degrado dell’ingrandimento.

Un po’ di storia

La stampa a contatto era molto diffusa agli inizi della fotografia di massa, quando gli apparecchi fotografici, per sopperire alle deficienze qualitative dovute al mantenimento dei costi necessario alla diffusione del mezzo fotografico e alla minore qualità delle pellicole, usavano formati più grandi di quelli attuali. La stampa a contatto permetteva di avere in mano un’immagine positiva, tutto sommato di buona qualità e poco costosa, anche se piccolina. Inoltre il procedimento di stampa era semplicissimo e non richiedeva particolari attrezzatura: un torchietto, per tenere a contatto il negativo con la carta sensibile, e una fonte luminosa. Il fatto che la quantità di luce necessaria all’esposizione non fosse un problema, spesso accadeva che la stampa venisse esposta direttamente alla luce solare, non richiedeva una sensibilità particolare alle carte, anzi una carta troppo sensibile poteva rappresentare un problema proprio nella gestione dei brevi tempi di esposizione che questa avrebbe resi necessari. Le carte per la stampa a contatto erano composte principalmente da cloruro d’argento con aggiunta di ioduro e avevano una scala tonale molto estesa, per sopperire agli errori di esposizione, e generalmente l’emulsione era stesa su un supporto di peso singolo, molto più sottile del cartoncino doppio peso delle carte odierne, per migliorare il contatto con la superficie del negativo. I cataloghi di ogni produttore riportava una o più tipologie di queste carte; Kodak Azo e Velox, Agfa Lupex, Ilford Contact sono entrate a pieno titolo nella storia della fotografia; carte su cui si sono stampate milioni di scatti di fotoamatori ma che sono state usate anche dai più grandi fotografi della prima metà del secolo scorso. La Kodak Azo è stata con molta probabilità il prodotto più longevo della storia della fotografia, essendo stato prodotto ininterrottamente dal 1898 al 2005 e con fino a 19 superfici diverse sia su carta che cartoncino. Il diffondersi del piccolo formato rese impraticabile la stampa a contatto, le immagini erano troppo piccole, e la luce dell’ingranditore, costretta nei meandri dei convogliatori, dei condensatori e del diaframma dell’ottica da ingrandimento, era troppo debole per la bassissima sensibilità di queste carte, relegando le emulsioni al cloruro alla stampa dei provini e alla stampa a contatto delle lastre di grande formato, mentre per gli scatti su piccolo e medio formato che passavano sotto l’ingranditore, le carte da ingrandimento al bromuro e al clorobromuro offrivano la versatilità e la sensibilità necessaria al nuovo modo di stampare.

 

La situazione di oggi.

L’unica carta industriale al cloruro d’argento che è durata oltre il XXI secolo è stata la Kodak Azo, fino al 2005, quando Kodak annunciò la dismissione di tutta la linea di carte da stampa in bianco e nero di sua produzione, Azo compresa. Due coniugi e fotografi, Michael A. Smith a Paula Chamlee, che per il loro lavoro usavano esclusivamente carta Azo, con un enorme sforzo economico e un pizzico di follia, acquistarono direttamente da Kodak l’ultimo intero lotto di produzione della Azo e ne curarono personalmente la distribuzione e la vendita. L’azzeramento del mercato fotografico analogico e il successivo riposizionamento causato dall’avvento della fotografia digitale, portò alcuni produttori minori a diventare gli unici punti di riferimento nella produzione di materiale fotografico permettendo una produzione di scala molto più piccola ma anche molto più versatile, dove poteva essere remunerativa anche la produzione di lotti piccoli o piccolissimi di carta fotografica. Michael A. Smith a Paula Chamlee, che intanto potevano contare sulle scorte di Azo acquistate da Kodak, cominciarono prima lo studio e poi la produzione su piccola scala di una carta al cloruro in grado di sostituire la Azo, nacque così la Lodima. Michael A. Smith a Paula Chamlee curano la produzione, la distribuzione e la vendita diretta della Lodima che, sebbene prodotta in Europa, deve essere acquistata solo presso di loro negli Stati Uniti. Nel frattempo il mondo della fotografia argentica in bianco e nero ha riscoperto una nuova primavera; generi e modalità fotografiche che in un mondo di miliardi di scatti erano una nicchia piccolissima, in un mercato ridimensionato come quello attuale sono diventati numeri importanti. L’aumento dei fotografi in grande formato e in formato ultra large ha fatto riscoprire la stampa a contatto non solo ai fotografi ma anche ai produttori: nel 2010 la Foma, che già aveva una carta per la stampa a contatto politenata, introduce la Fomalux 111, una carta baritata al cloruro. Anche la Bergger ha in catalogo una carta per stampe a contatto, la Art Contact 2

 

Le carte

Tutte le carte per la stampa a contatto sono a gradazione fissa. Le carte Lodima vengono prodotte in due gradazioni, la 2 e la 3, mentre sia la Fomalux 111 che la Bergger Art Contact sono disponibili in singola gradazione, in entrambi i casi definita come intermedia tra una 2 e una 3. La carta Lodima #2 che ho usato è stesa su base singola, un supporto un po’ più consistente di altre carte SW (Single Weight) che mi è capitato di usare, ma decisamente più leggera di una normale carta da stampa. La Lodima di gradazione 3 è un più abituale cartoncino a doppio peso e questa cosa mi fa pensare che la gradazione 2 faccia parte della prima produzione di questa carta, dato che il secondo, e finora ultimo, lotto prodotto è stato steso solo su carta a doppio peso. Questa mia convinzione è sostenuta anche dal fatto, come si vedrà più avanti, che le due carte Lodima hanno caratteristiche piuttosto diverse. Considerando che gli stessi coniugi Smith/Chamlee danno notizia di cambiamenti all’emulsione tra il primo e il secondo lotto di produzione, è presumibile pensare che, per il tipo di supporto e per le differenti caratteristiche, la Lodima #2 provata qui non sia quella attualmente in commercio. La Lodima e la Fomalux 111 riportano specificatamente che contengono cloruro di argento, mentre Bergger non dà nessuna indicazione riguardo al tipo di alogenuri usati nell’emulsione della sua carta.

 

Lo sviluppo

Le carte per la stampa a contatto, anche se molto meno sensibili, sono delle normalissime carte da stampa e possono essere sviluppate usando qualsiasi rivelatore ma pare che le carte al cloruro reagiscano molto bene agli sviluppi all’amidolo. L’amidolo è l’agente sviluppatore più attivo che esista ed è anche l’unico a rimanere attivo in ambiente acido. L’amidolo è anche in grado di spingere la densità massima ad un livello paragonabile a quelle delle carte da ingrandimento, dato che altrimenti il massimo nero raggiungibile dal solo cloruro d’argento è piuttosto basso. L’elevata attività dell’amidolo permette di usare la tecnica del bagno d’acqua per regolare il contrasto in fase di sviluppo, con meno rischi di macchie e disuniformità, sopperendo così in parte alla mancanza di gradazioni di contrasto di queste carte. Un’altra caratteristica di questo agente sviluppante, invero in parte ammantata da un alone mistico e forse ancora tutta da dimostrare, è la modalità con cui agisce: quando usato in ambiente acido l’azione di sviluppo viene ritardata permettendo alla soluzione di entrare nell’emulsione senza che cominci l’azione riducente; solo dopo l’amidolo comincia ad annerire l’argento esposto e, al contrario di quello che succede normalmente, l’azione di sviluppo parte dagli strati inferiori dell’emulsione e non dagli strati esterni. Questo fa si che l’immagine delle stampe sviluppate con questo sviluppatore sembri far parte integrante della carta di supporto e non essere poggiata sopra di esso, un po’ lo stessa sensazione visiva che hanno le stampe al platino. L’amidolo è un componente chimico costoso, piuttosto tossico e molto “sporco”, macchia in maniera indelebile qualsiasi cosa con cui viene in contatto ed era il responsabile della colorazione nera delle unghie dei vecchi fotografi che avevano la pessima abitudine di usare le mani nude per manipolare le stampe immerse nei chimici. Dura pochissimo e in soluzione si ossida velocemente. Per allungarne la durata viene usato in soluzione acida e sarebbe meglio tenere lo sviluppo a temperature non superiori ai 20° C, in ogni caso è difficile che il bagno di sviluppo duri più di una di una giornata. L’amidolo è talmente potente da riuscire a raggiungere la densità massima della carta in soli 60 secondi e con questo tempo di sviluppo le carte al cloruro hanno un colore neutro tendente al caldo. Usando questo sviluppo si può in un solo colpo migliorare i punti deboli del cloruro d’argento, aumentando la densità massima, migliorando il tono dell’immagine e permettendo una variazione di contrasto verso il morbido dell’ordine di quasi una gradazione, e questo è il motivo per cui viene consigliato nella stampa a contatto. Si trovano riportate esperienze di stampatori che assicurano di ottenere risultati altrettanto validi con altri sviluppi per carte, ad esempio l’Ansco 130 alla glicina, quindi, come sempre, lo spazio per prove e test è troppo ampio per riuscire a scoprire tutto in una sola vita.

 

La prova

Ho fatto qualche prova comparativa usando le carte per stampa a contatto che si possono trovare oggi in commercio. Devo premettere che si tratta solo di una prima impressione; solo per cominciare a capire un materiale ci vogliono centinaia di fogli, mentre la mia esperienza di stampa è solo di qualche decina, troppo poco per poter esprimere un giudizio, seppure personale, di qualsiasi tipo. Comunque, anche a costo di sembrare presuntuoso, penso che anche una prima e parziale impressione possa fornire informazioni utili. Sono stati fatti anche dei test più oggettivi, misurando le prestazioni delle carte, e parte delle mie osservazioni sono basate anche su questi dati. Ribadisco comunque che, come sempre, i dati riportati e le conclusioni a cui sono giunto valgono solo per me e sono relativi esclusivamente al il mio modo di lavorare e alle mie attrezzature e non possono (e non vogliono) essere presi come riferimenti sui quali altri possono basare i propri giudizi. Quindi se l’argomento vi interessa, fate i vostri test con le vostre attrezzature e il vostro modus operandi e arrivate alle vostre conclusioni su cosa e meglio e perché.

 

Le carte che ho usato sono la Lodima nelle gradazioni 2 e 3, la Foma Fomalux111 nell’unica gradazione che c’è e la Bergger Art Contact 2, anche’essa a gradazione singola. Come sviluppo è stato usato per tutte le carte la formula all’amidolo di Michael A. Smith consigliata per le sue carte Lodima, che va preparata partendo da chimici sfusi e la cui formula e riportata qui in basso:

tabella

Table 1: Sviluppo all’amidolo di Michael A. Smith

Fate attenzione che variando la quantità di sviluppo variano anche le proporzioni dei chimici; ad esempio per fare 3 litri di sviluppo non si devono triplicare tutte la quantità usate per fare un solo litro di sviluppo, ma bisogna seguire le quantità riportate nella tabella. Il tempo di sviluppo medio è stato quello suggerito di 60” per tutte le carte, anche se in qualche caso lo sviluppo è stato aumentato fino a 90” o, in congiunzione col bagno d’acqua, ridotto fino a 15”.

Non posseggo un torchietto per la stampa a contatto così mi sono attrezzato con un tappetino di neoprene nero di circa 3mm di spessore e un comune vetro di 6mm. Come fonte di illuminazione ho usato un faro rettangolare per esterni acquistato presso un brico center che monta una lampada alogena da 400w collegata ad un timer per ingranditore. Per diffondere meglio la luce e ridurne un po’ l’emissione ho messo di fronte al vetro protettivo del faro un rettangolo di gelatina Lee 250 half white diffusion. Le stampe sono state fatte da negativi di formato 13×18 e 20×25 sviluppati con sviluppi al pirogallo o al catecolo. Alcune stampe sono state virate al selenio e all’oro per saggiarne il comportamento e la reattività al viraggio.

 

Le curve caratteristiche

Osservando i grafici delle curve caratteristiche si può prendere visione più facilmente di alcune caratteristiche delle carte, ed in particolare di alcuni andamenti particolari delle carte della Lodima:

 

001[Figure 1: Curve caratteristiche ]

Dal grafico è ben visibile come la Lodima #2 abbia una densità massima ben inferiore rispetto alle altre carte e che le due carte Lodima sono sensibilmente meno sensibili delle carte Foma e Bergger. Salta bene all’occhio anche la spalla accentuata della Bergger Art Contact 2, ma forse è meno evidente che la caratteristica principale delle carte Lodima, soprattutto la gradazione 2 (ricordo che ho motivo di credere che questa carta appartenga al primo lotto di produzione) è quella di avere un piede molto lungo e una spalla molto ridotta e qui è necessario fare un piccola regressione. La visione di una stampa fotografica da parte dell’occhio umano avviene per scansione: il sistema di visione focalizza la sua attenzione su piccole zone della stampa saltellando da zona a zona in rapida successione seguendo un pattern, la cui determinazione si perde nella notte dei tempi dell’evoluzione del regno animale, che il bravo fotografo dovrebbe essere in grado di indirizzare intorno al soggetto principale. Questo sistema di “scansione” molto rapida fa si che l’occhio non abbia tempo per adattarsi alle diverse luminosità presenti sulla stampa e quindi percepisce in maniera molto evidente anche piccolissime variazioni di densità nelle zone più luminose (alteluci), a cui l’occhio è più sensibile, mentre rimane molto meno sensibile alle variazioni tonali che si hanno negli scuri della stampa (e questo è uno dei motivi per cui lo standard ISO prende come limiti utili alla formazione dell’immagine un abbondante 90% del massimo nero per le ombre ma una densità di appena 0,04 sopra il bianco puro per le luci). Tornando alle carte Lodima, il piede molto lungo implica che queste carte sono in grado di restituire una gran quantità di sfumature chiarissime —e quindi anche di gestire densità elevatissime sul negativo— ma con un contrasto molto basso. A questa caratteristica, che ad una prima analisi potrebbe sembrare negativa, sopperisce invece l’occhio umano che, per il motivo che abbiamo visto prima, ha un contrasto di visione più alto proprio nelle tonalità chiare che risulteranno ben visibili contribuendo al senso di ricchezza e luminosità della stampa. Per contro una spalla contratta indica che i neri vengono riprodotti con tonalità più chiare e con molto contrasto, aiutando quindi la visione dell’occhio che è più debole in questa zona, fino a poco prima che tutto finisca nel nero assoluto della D-Max. Insomma un andamento della curva caratteristica di questo tipo si sposa alla perfezione con il sistema di visione umano.

Per quantificare questo andamento qui sotto è riportato un grafico che misura il numero di pixel compresi nell’area della spalla e del piede di ciascuna curva:

 

002Figure 2: Aree del piede e delle spalla

La spalla delle Lodima è all’incirca la metà di quella delle altre carte mentre il piede è circa il triplo.

Questo comportamento della curva caratteristica influenza anche la scala di esposizione (ES) delle carte; la Fomalux, che è la carta con la curva più regolare, si colloca come gradazione tra la 2 e la 3, mentre la Bergger ha una gradazione misurata più morbida, nonostante il produttore indichi anch’essa di gradazione intermedia tra 2 e 3, a causa della spalla pronunciata. Le carte Lodima hano gradazioni misurate più morbide di quelle dichiarate, con la Lodima #3 che si colloca tra la 1 e la 0 e la Lodima #2 è una gradazione 0, quindi per queste carte sono necessari negativi piuttosto contrastati, cosa confermata anche da quanto riportato in rete da alcuni utenti che stampano con successo su queste carte i negativi destinati alle stampe al platino/palladio, che di norma sono sviluppati con indici di contrasto molto alti.

003Figure 3: Scala di esposizione (ES)

 

La modulazione delle tonalità di grigio delle carte provate si può osservare anche nei grafici di variazione del gamma. Questi grafici mostrano come il contrasto cambi al cambiare dell’esposizione, mostrano cioè l’andamento del contrasto locale, ossia come le varie tonalità di grigio sono restituite una rispetto all’altra:

 

004Figure 4: Contrasto locale

A parte qualche picco, probabilmente dovuti alle tolleranze nelle letture densitometriche, si vede che la Bergger ha una campana più simmetrica e il versante destro scende meno rapidamente rispetto agli altri grafici; la parte alta più arrotondata indica un contrasto locale più basso sulle ombre più scure, l’equivalente della spalla allungata già vista nel grafico della curva caratteristica.

La riproduzione della scala tonale è stata riportata anche sui grafici delle curve caratteristiche in Figura 5:

 

005Figure 5: Curve con scala tonale

 

La Lodima e la Azo

Per stessa ammissione dei produttori le carte Lodima sono state espressamente studiate per sostituire la Kodak Azo oramai uscita di produzione. Questa dichiarazione mi ha incuriosito e ho voluto verificare quali erano le differenze tra queste due carte. Non ho avuto mai modo di provare la carta della Kodak, ma sul sito della casa di Rochester sono disponibili i datasheet della Azo e, per quello che vale, ho confrontato i grafici pubblicati dal Kodak con le curve che ho fatto personalmente. Questo confronto deve essere preso per quello che è, più un gioco che una vera analisi, dato che io non sono la Kodak e le mie attrezzature e la mia (in)competenza non possono essere certamente paragonabili a quelle che sono a disposizione dei ricercatori della casa gialla. Inoltre da quanto si può leggere sulla rete, la Azo ha subito diversi cambiamenti e le sue caratteristiche variavano molto anche a seconda dello stabilimento nel quale veniva prodotta, quindi sono io il primo a non prendere sul serio questo confronto e consiglio anche a voi di fare altrettanto.

006Figure 6: Scala Tonale e confronto con la Kodak Azo

 

Dato che non sono sicuro se la Lodima #2 che ho provato proviene dall’ultimo lotto di produzione ho preferito limitare il confronto alle gradazione 3 della Lodima e della Azo e la restituizione tonale ricavata dalle curve caratteristiche è simile.

Dalla Figura 6 si vede anche come le carte restituiscono la scala tonale: la Lodima #2 ha una contrazione molto accentuata sulle alteluci, una grande enfasi dei mezzi toni e una buona seprazione delle ombre. Un comportamento simile, ma meno estremizzato, è quello della Lodima #3. La Bergger Art Contact è molto lineare, con una compressione abbastanza pronunciata delle ombre, mentre il comportamento della Fomalux è molto equilibrato e simile a quello delle carte per ingrandimento.

 

Sensibilità

 

Le carte per la stampa a contatto hanno una sensibilità molto bassa e usare queste carte sotto l’ingranditore è somodo se non improbo. Lo standard ISO stabilisce come riferimento per la sensibilità delle carte da stampa, la ISO-P, l’esposizione necessaria per avere una densità netta di 0.6, quindi un valore di grigio medio, ed è su questa base che sono state misurate le differenze di sensibilità tra le varia carte. In genere però in fase di stampa per l’esposizione ci si basa sulle luci o sulle ombre, quindi in ambito pratico le differenze di sensibilità sono differenti da quelle riportate; questo per dire che se si fa un provino a scalare usando una carta da ingrandimento e poi si allunga l’esposizione moltiplicando per il fattore riportato sul grafico sotto per stampare con una carta per stampa a contatto, non è detto che si ottengano risultati accettabili, a meno di non aver preso come riferimento un grigio medio.

 

Tra le carte provate la più sensibile è la Bergger seguita subito dopo dalla Fomalux, molto più distanziate sono le Lodima. La Fomalux e la Bergger hanno una sensibilità tale da renderne possibile l’uso con l’ingranditore, anche se i tempi di esposizione si allungheranno di parecchio rispetto a quanto si è abituati; le carte Lodima hanno una sensibilità tanto limitata che i tempi di esposizione sotto l’ingranditore sarebbero talmente lunghi da rischiare di surriscaldare troppo la testa dell’ingranditore. Per rendere più chiara la differenza di sensibilità rispetto alle carte tradizionali, nel grafico qui sotto ho messo a confronto le carte per stampa a contatto con una normale carta da ingrandimento, la Fomabrom III tra l’altro neanche molto sensibile nella sua categoria:

007Figure 7: Sensibilità

È sufficiente notare quanto verso destra sono posizionate le curve delle carte per la stampa a contatto per rendersi conto del deficit di sensibilità che esse hanno e, giusto per fare un esempio pratico, se l’esposizione corretta per un negativo con la Fomabrom è di 15” a f/11, per stampare lo stesso negativo con lo stesso ingrandimento usando la Fomalux ci vorrebbero circa 3 minuti e 30 secondi a f5,6 e ben un’ora e 24 minuti a f2,8 con la Lodima di gradazione 3.

La lampada usata per la stampa è piuttosto potente e illumina quasi in modo fastidioso tutta la camera oscura ma i tempi di esposizione sono stati nell’ordine di 15-20 secondi usando la Fomalux e la Bergger Art Contact mentre per un negativo particolarmente denso ci sono voluti fino a 60” di esposizione sulla Lodima di gradazione 3

A titolo di curiosità riporto che sono state costruite delle speciali teste per ingrandiore ad alto flusso luminoso da usare con questi tipo di carte, teste che usano lampade alogene estremamente potenti (5000W) o lampade UV, ma oltre ad essere costose possono essere anche pericolose per gli occhi e per la pelle.

Personalmente ho usato più volte sia la Fomalux che la Bergger Art Contact con l’ingranditore con ottimi risultati; i tempi sono piuttosto lunghi ma tutto sommato sopportabili, anche nel caso di mascherature e bruciature. Ho fatto delle prove anche con le carte della Lodima ma ho sostituito la lampada dell’ingranditore con un flash e l’esposizione è stata calcolata in numeri di lampi (a tutta potenza) invece che in secondi. I risultati sono stati promettenti, anche se è presente una vignettatura ai lati del fotogramma; non è facile centrare la parabola del flash rispetto ai condensatori andando per tentativi. Chiaramente il mio è stato solo un esperimento, usare il flash al posto della lampada rende estremamente scomodo inquadrare e mettere a fuoco l’immagine proiettata (bisogna ogni volta sostituire il flash con la lampada) ed è impossibile fare mascherature e bruciature in fase di esposizione.

Il tono

Senza aggiunte particolari, il cloruro d’argento ha una resa piuttosto fredda (la Velox ad esempio era venduta proprio come carta dalla tonalità bluastra), mentre il tono tendente al caldo della Fomalux111 e della Bergger Art Contact fa pensare che in queste carte sia presente anche qualche altro ingrediente. Le Lodima sviluppate in Dektol hanno una tonalità tendente al freddo e la sfumatura verdognola tipica di quersto rivelatore è piuttosto evidente. La Fomalux ha una resa decisamente calda, leggermente meno calda la Bergger. Usando lo sviluppo all’amidolo per 60” le carte Lodima prendono una intonazione neutra tendente al caldo ma il tono della carta cambia in modo molto evidente al variare del tempo di sviluppo; anche un allungamento di 15” comporta un cambiamento di tono verso il freddo chiaramente visibile.

Tutte le carte provate reagiscono bene ai viraggi. La Fomalux nel selenio vira molto velocemente, tanto che è meglio usare diluizioni piuttosto alte; a 1+19 bastano 30” per vedere i primi cambiamenti di colore e in questo viraggio l’aumento di densità massima e di contrasto è piuttosto accentuato. Se il viraggio al selenio viene prolungato la carta della Foma prende un colore cioccolato che può essere gradevole per alcune immagini. Più tranquilla è la Bergger nei tempi di reazione ma anche questa carta ha una buona reazione, il cambiamento di colore, verso il marrone, è piuttosto accentuato e buono è l’aumento della D-Max. Le carte della Lodima invece tendono a raffreddarsi con il viraggio al selenio e la loro reazione è più lenta rispetto alla Foma e alla Bergger. Un viraggio prolungato cambia decisamente il tono verso un colore che è una via di mezzo tra il cioccolato e il melanzana; in ogni caso la reazione delle Lodima al selenio comporta delle colorazioni più tendenti al freddo rispetto alle altre due carte.

Le uniche carte che ho provato con il viraggio all’oro sono state le Lodima che hanno reagito bene in questo bagno notoriamente molto lento. Il colore è una bella sfumatura neutro/fredda che ricorda un po’ il metallo.

Bagno d’acqua

Tutte le carte per la stampa a contatto non solo sono a gradazione fissa ma le gradazioni di contrasto sono anche molto limitate; solo la Lodima è venduta in due gradazioni di contrasto diverse mentre la Fomalux e la Bergger sono vendute in un’unica gradazione. Se da una parte è vero che queste carte sono destinate alla fotografia di grande formato e che le pellicole possono essere sviluppate singolarmente adattando il contrasto del negativo al contrasto della scena in funzione della scala di esposizione della carta, è anche vero che un po’ di flessibilità in più in camera oscura non guasta.

Variare lo sviluppo è forse l’unica possibilità che si ha per cercare di modificare il contrasto della carta da stampa e ho provato ad usare il bagno d’acqua per vedere come funzionava. Devo confermare che usare il bagno d’acqua con l’amidolo è molto più facile e veloce rispetto agli sviluppi convenzionali, non sono necessari ripetuti passaggi e, a meno di non usare tempi di immersione nello sviluppo molto brevi, non si hanno problemi di sviluppo non uniforme che invece appaiono con facilità con altri tipi di rivelatore. Con un tempo di sviluppo di 30” seguito da 30” in acqua la riduzione di contrasto, ad occhio, è all’incirca di mezza gradazione mentre una intera gradazione più morbida si riesce a raggiungere con 15” nello sviluppo e 120” nel bagno d’acqua, con l’accortezza di non sgocciolare la stampa prima di immergerla nell’acqua, pena la comparsa di striature dovute al diverso spessore del velo di sviluppo aderente alla superficie della stampa tra il lato più in alto e quello più in basso del foglio.

Un altro sistema per ammorbidire il contrasto è quello di aumentare la diluizione dello sviluppo, ma io non ho fatto delle prove a riguardo.

L’amidolo è estremamente attivo come sviluppo e il bagno d’acqua deve essere cambiato di frequente dato che solo dopo pochi passaggi l’acqua si colora vistosamente di arancio e si trasforma in un blando sviluppo più che in un bagno d’acqua vero e proprio. Anche l’arresto tende a colorarsi per il carry-over di sviluppo e dopo qualche stampa anche il fix tende a prendere una colorazione giallognola.

 Mascherature e bruciature

Anche nella stampa a contatto è possibile intervenire localmente sull’esposizione con le mascherature e le bruciature ma bisogna agire in modo leggermente diverso rispetto alla stampa per ingrandimento. La luce usata per l’esposizione, non essendo focalizzata da un obbiettivo, è molto più diffusa e non si riesce più di tanto a variare la sfocatura dell’ombra proiettata dalla maschera avvicinandola o allontanandola dalla fonte luminosa. Le maschere devono essere tenute molto vicino al vetro di pressione e mosse velocemente per evitare che si creino dei bordi netti intorno all’area di intervento; se la maschera è troppo sollevata dalla carta non si crea l’ombra necessaria ad eseguire l’intervento. Altra grande difficoltà è riuscire a localizzare con precisione la zona che si vuole mascherare o bruciare; quando il negativo è pressato contro la carta non si riesce più a distinguere chiaramente l’immagine, sembra tutto un grigio scuro uniforme e solo le parti molto trasparenti sono facilmente identificabili. Farsi una mappa mentale il più possibile precisa del contenuto dell’immagine, o prendere dei riferimenti rispetto ad aree più facilmente visibili, aiuta nel trovare “a naso” le giuste aree su cui posizionare la maschera.

Conclusioni

La stampa a contatto è un altro mondo rispetto alla stampa per in grandimento, le procedure, i materiali e le attrezzature sono diverse e per molti versi bisogna rimparare a stampare. Senza il passaggio dall’ingranditore la qualità delle immagini è impressionante, la quantità di dettagli è altissima ma di quanti essi siano si può capirlo solo guardando molto da vicino l’immagine, dato che ad una normale distanza di visione l’acutezza dell’occhio non è in grado di percepire il dettaglio più fine. Anche le gradazioni di grigio hanno transizioni più morbide dato che la grana è assolutamente invisibile. Certo, a meno di non usare macchine fotografiche particolari, le dimensioni massime della stampa sono 20×25, che rimane comunque un formato molto fruibile. Stampare per contatto è anche un viaggio a ritroso nel tempo, ed è educativo fermarsi a pensare quanta poca attrezzatura sia necessaria per ottenere bellissime foto.

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 Immagini

Lodima#2; M.A.S. amidol developer; viraggio parziale al selenio

Lodima#2; M.A.S. amidol developer; viraggio parziale al selenio

Lodima#2; M.A.S. amidol developer; viraggio parziale al selenio

Lodima#2; M.A.S. amidol developer; viraggio parziale al selenio

Fomalux 111; M.A.S. amidol developer; viraggio parziale al selenio

Fomalux 111; M.A.S. amidol developer; viraggio parziale al selenio

Lodima#2; M.A.S. amidol developer; viraggio all'oro

Lodima#2; M.A.S. amidol developer; viraggio all’oro

Lodima#2; M.A.S. amidol developer; viraggio parziale al selenio

Lodima#2; M.A.S. amidol developer; viraggio parziale al selenio

Lodima#2; M.A.S. amidol developer; viraggio completo al selenio

Lodima#2; M.A.S. amidol developer; viraggio completo al selenio

Fomalux 111; M.A.S. amidol developer; viraggio parziale al selenio

Fomalux 111; M.A.S. amidol developer; viraggio parziale al selenio

Lodima#3; M.A.S. amidol developer; viraggio parziale al selenio

Lodima#3; M.A.S. amidol developer; viraggio parziale al selenio

Bergger Art Contac; Dektol 1+2; viraggio parziale al selenio; stampa con ingranditore

Bergger Art Contac; Dektol 1+2; viraggio parziale al selenio; stampa con ingranditore

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