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Articoli interessanti ripresi dal Forum

“Lezioni di fotografia analogica” ovvero come “esporre per le ombre e sviluppare per le luci” in quattro passi.

Il seguente post nasce da una interessantissima discussione nata sul forum www.analogica.it stimolata dagli utenti ed arricchita di contenuti da parte di Andrea Calabresi (Silverprint), stimato collaboratore e moderatore del forum..

Ne riporto gli estratti salienti nella speranza che sia di aiuto per tutti.

A questo link la discussione completa : http://www.analogica.it/rivelatore-tri-x-400-lezioni-di-fotografia-t3018.html

Per semplicità vi preannuncio che l’ho volutamente suddivisa in quattro macro aree che sono :

1 – Mini storia semi-seria e mezza inventata della tecnica fotografica!

2 – Esporre per le ombre, sviluppare per le luci

3 – Consigli pratici…

4 – Un esperimento!

Buona lettura.

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Fotocamere a telemetro sovietiche ed otturatore

Riporto dal forum un interessante post dell’amico vngncl61 sull’otturatore delle macchine a telemetro sovietiche.

Buona lettura

Spesso le recensioni su fotocamere a telemetro ex CCCP, imputano a queste difetti, e problemi, che tali non sono. Il primo riguarda la, presunta, debolezza e scarsa affidabilità dei loro otturatori, dovuta alle manovre di carica ed impostazione dei tempi.
Di solito si legge che, caricare l’otturatore, prima di poter cambiare i tempi, che va fatto anche sulle Leica, è un difetto, e che operare diversamente comporta l’inevitabile rottura della fotocamera.
Vediamo come stanno veramente i fatti
Il progetto, base, dell’otturatore delle Zorki e delle Fed, è derivato da quello delle Leica II.

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Andrea Calabresi – Taratura sensitometrica manuale del sistema zonale senza l’ausilio del densitomero

Riporto un interessante post direttamente dal forum, scritto dall’amico silverprint  alias Andrea Calabresi che in pochi giorni di permanenza nel forum ha già dimostrato a tutti la sua competenza e la sua professionalità in tema di fotografia analogica e tecniche di camera oscura.

Chi è Andrea Calabresi? Riporto un estratto della sua bio ripresa dal sito majartecontemporanea.com

Andrea Calabresi nasce a Roma nel 1967. Inizia da bambino a scattare fotografie e a lavorare in camera oscura.
Autodidatta deve poi la sua formazione successiva a James Megargee ed Arno Rafael Minkkinen. Dal 1990 al 1998 opera come fotografo professionista in vari campi, dedicando un’attenzione particolare per la fotografia d’architettura. Le sue immagini di opere e progetti sono pubblicate su importanti riviste d’architettura come “L’arca”, “Abitare” e “Controspazio” e illustrano mostre internazionali come “The courage of images” (1994).
Nel 1996 apre a Roma un laboratorio di stampa “fine art” in bianco e nero, il cui successo gli consente di abbandonare gradualmente il lavoro di fotografo professionista. Si è così potuto dedicare più intensamente allo studio della tecnica, con l’elaborazione del Metodo Percettivo, ai progetti di ricerca personale e all’insegnamento che svolge presso la sede di Nuovafotografia e, dal 2003, al Toscana Photographic Workshops.
Nel 2001, fonda con Alessia Cervini, Fabio Severo e Filippo Trojano il collettivo di ricerca artistica Nuovafotografia.
Il suo lavoro individuale si incentra su progetti di lunga durata, come le vedute urbane diDomande sul senso dello spazio (1995-2002), od i paesaggi di Close Landscapes.

Vi invito pertanto a seguire i lavori di Andrea sul sito majartecontemporanea.com

 

Dopo questa breve introduzione, torniamo a noi con il post ripreso dal forum che illustra un’ottimo metodo manuale per la taratura sensitometrica del sistema zonale, senza l’uso del densitometro.

Buona lettura!

 

In mancanza di densitomerto è possibile valutare la densità visivamente per confronto con un regolo densitometrico calibrato come quelli prodotti da Stouffer. Sono oggetti poco costosi e sempre utili (densitometro rotto o “dubbioso”, per es…)

AVVERTENZA: POST LUNGO E COMPLICATO, LEGGERE SOLO SE SI È GIÀ CAPITO “CONCETTUALMENTE” IL SISTEMA ZONALE!!!

In realtà, se si è abbastanza precisi in camera oscura, esiste un metodo “pratico” di taratura del sistema zonale senza uso di densitometro o di scale graduate.
Il metodo di seguito proposto ha anche il vantaggio di non fare affidamento su valori di densità “preconfezionati” che potrebbero non trovare corrispondenza nelle nostre specifiche condizioni d’uso.

È un metodo più laborioso, ma come prima volta ha anche il pregio di verificare le condizioni operative REALI del sistema esposizione-stampa della carta.
Il densitometro rende tutto più rapido, semplice e ripetibile e/o adattabile rapidamente a diversi ingranditori, carte, rivelatori… Ma una taratura VISIVA di base rimane necessaria

Comunque, per punti:

Eseguire i negativi test per le varie zone (io arrivo sempre fino alla zona XII, perché spesso uso sviluppi N-2 e con certe pellicole oltre) ipotizzando varie sensibilità effettive a partire dalla sensibilità nominale fino ad almeno 5/3 di stop in più). Con rulli 35 mm si potrebbe esporre come segue:

RULLI TEST

fotogramma n° – esposizione

1 – zona XII sensibilità nominale (comincio dalla più densa per poter ben vedere l’inizio)
2 – zona XI “”
3 – zona X “”
4 – zona IX “”
5 – zona VIII “”
6 – zona VII “”
7 – zona VI “”
8 – zona V “”
9 – zona IV “”
10 – zona III “”
11 – zona II “”
12 – zona I “”
13 – zona XII sensibilità nominale + 1/3 d stop, esempio 320 iso per una 400 nominale
14 – zona XI “”
15 – zona X “”
16 – zona IX “”
17 – zona VIII “”
18 – zona VII “”
19 – zona VI “”
20 – zona V “”
21 – zona IV “”
22 – zona III “”
23 – zona II “”
24 – zona I “”
25 – zona XII sensibilità nominale + 2/3 di stop, esempio 250 iso per una 400 nominale
26 – zona XI “”
27 – zona X “”
28 – zona IX “”
29 – zona VIII “”
30 – zona VII “”
31 – zona VI “”
32 – zona V “”
33 – zona IV “”
34 – zona III “”
35 – zona II “”
36 – zona I “”
37 – (di solito c’è) zona V sensibilità nominale. Serve per vedere bene dove comincia la zona I e come verifica dell’invarianza delle condizioni luminose – Deve essere uguale al suo doppione al fotogramma n° 8. (È possibile anche esporre tutto il rullo con variazione continua di 1/3 di stop, da Zona XII sensibilità nominale +2/3 a zona I sensibilità nominale, etc, etc. Anche se, almeno inizialmente, è più facile fare confusione).

Si espone in seguito un altro rullo con lo stesso sistema per sensibilità nominale + 1 stop (200 iso con una 400); + 1 1/3 (160 iso con una 400); +1 2/3 (125 iso per 400 nominale): Di solito questo intervallo è sufficiente. Inizialmente espongo solo questi due rulli. Solo dopo avere determinato la sensibilità effettiva ne esporrò svariati altri per determinare i vari sviluppi (da N-2 a N+2).

Si sviluppano i rulli test per un tempo verosimilmente azzeccato (ovvero all’incirca centrato nel range che ci sembri probabile). In questa fase un tempo di sviluppo “giusto” non è determinante, nel senso che comunque le informazioni che ne ricaveremo saranno utili.

DETERMINAZIONE DELLA SENSIBILITÀ EFFETTIVA

Sviluppati insieme questi due rulli test si procede alla stampa su gradazione 2 come segue:

Regolare l’ingranditore per realizzare una stampa di dimensioni medie (30×40 ?).
Fare un provino scalare su una coda di rullo (ovvero su un fotogramma non esposto) per determinare (con precisione, ovvero scalari con intervallo di tempo ravvicinato) il TEMPO MINIMO che fornisce sulla stampa (DA VALUTARSI BEN ASCIUTTA) il nero pieno (zona 0). Il nero pieno corrisponde alla prima striscetta che ha un solo lato distinguibile. Vale a dire che da quel tempo in su è tutto nero ugualmente, dal quel tempo in giù invece si vedono le strisce.

A questo punto (usando carta di un formato ridotto, a centro immagine) e lasciando tutto assolutamente inalterato – TUTTO: posizione ingranditore, diaframma, tempo di esposizione, procedura di sviluppo – si espongono le varie zone I (quelle con densità visibile, ve ne saranno probabilmente di completamente, o quasi, trasparenti) e nuovamente un negativo senza densità alcuna (zona 0). Una volta ben asciutti si andrà a cercare tra le varie zone I quella più scura che risulterà comunque distinguibile dalla zona 0.

A questo punto, dal numero di rullo e fotogramma corrispondente sapremo quale è la sensibilità effettiva della pellicola in esame.

VERIFICA DEL CONTRASTO OTTENUTO

Sempre lasciando tutto inalterato si stamperanno i fotogrammi corrispondenti alle varie zone per la sensibilità effettiva ottenuta e si potrà così verificare il livello di contrasto che quel determinato tempo di sviluppo ha prodotto (e produrre un utilissimo regolo zonale). Il risultato che otterrete è comunque valido anche se non dovesse corrispondere ad un N qualcosa con precisione. Infatti vale la pena assolutamente fare anche una verifica più accurata in zona VIII e IX andando a stampare anche le zone VIII e IX delle sensibilità effettive vicine, questa operazione consente di verificare il contrasto con una precisione di 1/3 di stop
(Spesso la zona IX risulta vaga, succede, al limite basta poco per cambiare le cose).

Scoperto quale è il contrasto effettivamente ottenuto esporremo quindi e nello stesso modo altri rulli test. Useremo la sensibilità nominale trovata come punto di partenza. Per procedere ad una riduzione dello sviluppo suggerisco di esporre per S.E; S.E.+1/3; S.E.+2/3. Viceversa (in sottoesposizione) per gli aumenti di sviluppo. Consiglio di procedere così perché spesso una piccola variazione della S.E. si verifica comunque.

NOTE:
– Per quanto riguarda la sensibilità effettiva i risultati sono piuttosto precisi, ad onta delle apparenze, ho verificato su svariati ingranditori (luce diffusa, fredda, fredda CV, diffusore, puntiforme) e su quasi tutte le carte che effettivamente la zona I corrisponde ad una densità di 0,10 sopra il velo o poco più.
Rimane il punto fondamentale: anche se in un determinato sistema la zona I venisse fuori con valori di densità diversi dal solito, in QUEL sistema quella densità rappresenta la zona I e la sensibilità effettiva (realmente usabile) sarebbe di conseguenza diversa.
– Il contrasto ottenuto varia invece in maniera MOLTO significativa a seconda del tipo luce e anche di ingranditore. Non tutti i diffusori e condensatori sono uguali, evidentemente. Così come varia con i vari tipi di carta e procedure di sviluppo. Ovvero, per lavori della massima precisione il SZ va calibrato sull’intero processo che ci si prefigge utilizzare per un determinato lavoro.
– In generale andrebbe notato che sulle carte attuali i valori a suo tempo proposti da Adams per la zona VIII andrebbero rivisti al ribasso in maniera piuttosto decisa.

Holga

Pubblico una interessante recensione sulla Holga, scritta sul forum dall’amica “holgamydear“.

(Leggi tutta la discussione sul forum …)

 

Vorrei parlarvi di una delle mie macchine preferite in assoluto, la Holga.

La Holga è una macchina economica medio formato (120) progettata e prodotta in Cina dal 1982. Essendo costruita interamente con materiali poco costosi, la Holga era destinata alla classe operaia cinese. L’origine del nome Holga deriva dall’espressione ho gwong, che significa molto luminoso.

Il successo della macchina fu tanto inaspettato e improvviso che si pensò di progettare anche la Holga per il piccolo formato (135) da vendere all’estero. Il nome Holga fece così il giro del mondo, tanto da far diventare la macchina un vero e proprio oggetto di culto. Anche la Lomography Society si è resa conto della straordinarietà della macchina, tanto da contendersi, insieme alla Diana, lo scettro di regina della lomografia.

 

Vediamo meglio quali sono le caratteristiche della macchina, prendendo come riferimento il modello base (Holga N, ovvero il modello aggiornato della prima, la Holga S):

  • obiettivo: lente a menisco 60mm
  • fuoco: 1 m – infinito
  • diaframma: soleggiato (f/11); nuvoloso (f/8)
  • velocità otturatore: 1/125; posa B

Oltre alle caratteristiche tecniche, la Holga vanta alcune peculiarità che l’hanno resa così famosa nel mondo, come la vignettatura, i frequenti light leaks e le abberrazioni cromatiche e lenticolari. Mescolando imprevedibilmente tutti questi difetti tipici di una toycamera, ne fa il suo punto di forza, trasformando ogni foto in qualcosa di assolutamente irripetibile. E’ questo che rende la Holga così famosa nel mondo del lo-fi.

Della Holga esistono diversi modelli:

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