Archivi tag: camera oscura

Le nuove carte Ilford Multigrade FB

Piccola recensione nuove carte Ilford

Giusto un anno fa la Ilford ha sconvolto il sonnecchioso mondo della camera oscura introducendo ben due nuove linee di carte da stampa baritate: la Ilford Multigrade FB CoolTone e la Ilford Multigrade FB Classic che è andata a sostituire la Ilford Multigrade IV FB.

La CoolTone nasce come risposta alle numerose richieste da parte degli appassionati di camera oscura di riproporre su base baritata l’omonima carta già presente da anni in versione politenata. La nuova Multigrade FB CoolTone è disponibile solo con superficie lucida e viene descritta nella documentazione ufficiale come una carta a tono neutro stesa su una base bianco freddo. Il supporto è un cartoncino da 255g
La Classic è di fatto una evoluzione della Multigrade IV e cerca di adeguarsi alle richieste di miglioramento pervenute alla lford nei molti anni in cui la IV è stata in produzione. È una carta a tono neutro stesa su base bianco-nuetro, anch’essa su cartoncino da 255g, disponibile sia in versione lucida che opaca.

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timerino, un timer programmabile per ingranditore costruito con il microcontroller Arduino

Oggi vi presento un progetto del quale vado particolarmente fiero, si chiama “timerino

Cos’è Timerino?

Timerino è timer per ingranditore, programmabile ed in grado di lavorare sia in modalità lineare che in modalità geometrica (f/stop) realizzato con il microcontroller Arduino.

Perché vado molto fiero di questo progetto?

Perché è stato realizzato dai ragazzi di analogica.it che con la loro passione e competenza sono riusciti a creare questo fantastico timer per ingranditore che non ha nulla da invidiare ai fratelli maggiori commercializzati sui normali canali di vendita.

Trovate tutta la discussione a questo link :
http://www.analogica.it/upgrade-timer-con-keypad-t6797.html

In questa pagina l’ultima versione aggiornata del software :
http://www.analogica.it/upgrade-timer-con-keypad-t6797-426.html

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Recensione carte per stampe a contatto

Carte per la stampa a contatto

Piccola recensione

Diego Ranieri aka chromemax

 

Le carte per la stampa a contatto sono una tipologia di carte caratterizzate da una sensibilità molto bassa che le rende adatte alla stampa per contatto dei negativi. Per stampa a contatto non si intende, o almeno non solo, la stampa dei provini ma al procedimento di stampa effettuato mettendo a contatto il negativo con la carta, senza l’ausilio dell’ingranditore, ottenendo così una stampa dello stesso formato del negativo. Per ovvie ragioni per questo procedimento di stampa sono più adatti negativi di grandi dimensioni che permettono di ottenere una stampa finale di dimensioni adeguate, ma anche la stampa a contatto di negativi di medio formato (6×6, 6×7, 6×9) può restituire delle miniature che possono avere un loro fascino e una loro bellezza una volta valorizzate con la giusta montatura. Non essendoci l’ulteriore passaggio dell’immagine attraverso l’obbiettivo dell’ingranditore, e alle relative aberrazioni, e non dovendo essere ingrandita, la nitidezza delle immagini è più alta di quella di qualsiasi altro sistema fotografico, la grana è sempre invisibile e la resa tonale è superiore non dovendo subire il degrado dell’ingrandimento.

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Darkroom Locator 2.0, analog experience on Google Maps

Ricordate quando un anno fa lanciai il tool darkroom locator?

Bene, dopo un anno le segnalazioni sono diventate quasi cento, ho raccolto numerose richieste da parte degli utenti del forum www.analogica.it ed ho così deciso di rilasciare la versione 2.0 di darkroom locator.

Cosa c’è di nuovo in darkroom locator 2.0?

Praticamente tutto …

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Come funzionano le carte a contrasto variabile

 

Le carte a contrasto variabile hanno rappresentato una piccola rivoluzione nel mondo della fotografia. Le loro origini sono molto più antiche di quanto generalmente si suppone; l’idea di una carta a contrasto variabile è stata brevettata in Germania già nel 1912, anche se le emulsioni dell’epoca non ne permettevano la fabbricazione. Le prime carte a contrasto variabile furono la Ilford Multigrade e la Varigam della DuPont, entrambe introdotte nel mercato agli inizi degli anni ’40. Le prime carte VC (Variable Contrast) avevano una qualità molto bassa e la stampa in bianco e nero di qualità rimase per molti anni appannaggio delle migliori e più collaudate carte a gradazione fissa. La situazione cominciò a cambiare agli inizi degli anni ’80 quando furono introdotte carte a contrasto variabile che, per alcuni ambiti fotografici, non sfiguravano di fronte alle controparti a gradazione fissa. Ma la vera rivoluzione ci fu negli anni ’90 quando si affacciarono sul mercato una serie di prodotti di altissima qualità, forse non ancora a livello delle migliori carte a gradazione fissa, ma che riuscirono a conquistare il mondo “fine art” grazie anche alla possibilità di usare più gradazioni di contrasto sulla stessa stampa, cosa impossibile con le carte tradizionali.

Ma come funzionano le carte a contrasto variabile? L’idea comune è che queste carte fotografiche siano composte da due strati di emulsione: uno strato ad alto contrasto sensibile alla luce di un certo colore e uno strato a basso contrasto sensibile ad un diverso colore. Variando il colore della luce dell’ingranditore attraverso dei filtri sarebbe possibile attivare più o meno uno strato rispetto all’altro, consentendo così di variare il contrasto. In quest’ipotesi si avrebbe una gradazione 2, di solito la gradazione normale, quando colorando opportunamente la luce dell’ingranditore, lo strato a basso contrasto e lo strato ad alto contrasto vengono attivati più o meno allo stesso livello, bilanciandosi a vicenda e generando quindi un contrasto a metà tra i due estremi. Man mano che si inseriscono filtri di basso contrasto, il contributo alla realizzazione dell’immagine da parte dell’emulsione soft sarà maggiore e la gradazione della carta di stampa si ammorbidisce, viceversa nel caso si debba usare una gradazione dura.

In realtà le cose non stanno proprio così. È vero che le carte a contrasto variabile sono composte da due o più strati di emulsione, ma il meccanismo con cui varia il contrasto è più elegante ma anche un po’ più complesso da spiegare. Per cercare di chiarire meglio come funzionano queste particolari carte da stampe dovrò fare riferimento alle curve caratteristiche di queste carte, ai principi di base della luce e ad un po’ di illustrazioni e animazioni; ma non c’è da preoccuparsi, niente di difficile.

Curve caratteristiche

Le curve caratteristiche delle carte da stampa (ma esistono anche le curve caratteristiche delle pellicole) non sono altro che dei grafici che riportano il comportamento dell’emulsione sensibile quando questa viene colpita dalla luce. In un grafico cartesiano si riportano sull’asse X l’esposizione che viene data alla carta e sull’asse Y il valore di densità che le esposizioni hanno prodotto dopo che la carta è stata sviluppata.

La curva caratteristica ha un classico andamento a forma di “S” ma per comodità e chiarezza in alcune illustrazioni ho preferito usare una più semplice forma a “Z” rovesciata, ma concettualmente il risultato non cambia.

Un elemento importante della curva caratteristica è la sua posizione sul grafico: più la curva caratteristica è spostata verso destra e meno sensibile è la carta. Questo avviene perché l’asse X rappresenta i valori di esposizione e questi valori crescono man mano che ci si sposta verso destra; quindi se ci vuole più esposizione per ottenere un annerimento della carta, vuol dire che quella carta è meno sensibile.

Fig.1

Un altro fattore importante è la pendenza della curva: più una curva è ripida più la carta che rappresenta è contrastata, più la pendenza della curva è bassa più il contrasto è morbido.

Colore e luce

Come accennato precedentemente per variare il contrasto delle carte VC è necessario variare il colore della luce che esce dall’ingranditore; questo può essere fatto tramite degli appositi filtri, conosciuti come filtri multigrade, oppure usare dei filtri di correzione colore (CC), oppure ancora una testa per la stampa a colori. Qualsiasi sistema si userà i colori saranno sempre i medesimi, il giallo (Y, dall’inglese yellow) e il magenta (M).

In commercio esistono anche delle speciali teste di illuminazione per ingranditori appositamente studiate per la stampa su carte a contrasto variabile. Usando una di queste teste di illuminazione si può vedere che esse emettono luce verde e blu. Ma allora di che colore deve essere la luce per variare il contrasto della carta VC? Giallo e Magenta o Verde e Blu?

In effetti le carte a contrasto variabile sono sensibili solo alla luce blu e alla luce verde –al contrario delle carte a gradazione fissa che di solito sono sensibili solo alla luce blu. Ma se vediamo bene possiamo accorgerci che i colori dei filtri e i colori delle lampade delle teste “multigrade” usate per stampare con le carte VC sono complementari: il colore giallo usato nei filtri è il complementare del colore blu usato nelle lampade delle teste di illuminazione multigrade, mentre il colore magenta è il complementare del verde. Si tratta di metodi alternativi per ottenere in realtà lo stesso effetto.

La luce bianca è composta da tutti i colori dell’iride, tra cui anche il verde e il blu: filtrando di giallo la luce bianca in realtà si lascia passare tutto lo spettro luminoso tranne il suo complementare, cioè il blu. La luce filtrata di giallo è luce bianca meno blu, ma è presente il verde, a cui è sensibile la carta VC.

Analogamente filtrando di magenta la luce bianca passerà tutto lo spettro meno il suo complementare, che è il verde; la luce filtrata di magenta è luce bianca meno il verde, ma con il blu, colore a cui, ancora, è sensibile la carta VC. Questo sistema si chiama a sintesi sottrattiva, dato che alla luce bianca si sottraggono colori.

Le teste di illuminazione multigrade, al contrario, funzionano in sintesi additiva, cioè emettono già direttamente la luce dei colori ai quali è sensibile la carta a contrasto variabile

Fig.2

Fig.3

Come sono fatte le carte VC

Per spiegare il principio di funzionamento delle attuali carte a contrasto variabile possiamo immaginarle come composte da due strati di emulsione sensibile ma, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, entrambi gli strati di emulsione hanno la stessa gradazione di contrasto che, oltretutto, è una gradazione di contrasto morbida. Inoltre ognuno dei due strati ha una densità massima (massimo annerimento) molto basso.

Fig.4

I due strati sono entrambi sensibili alla luce blu ma uno solo dei due è sensibile anche alla luce verde. L’unica cosa che differenzia le due emulsioni quindi è la sensibilità relativa alle componenti cromatiche della luce: i due strati hanno identica sensibilità se si usa una luce di colore blu, invece la sensibilità dei due strati è molto diversa quando per l’esposizione si usa una luce di colore verde.

Riportando questa caratteristica sul grafico, le curve dei due strati saranno sovrapposte quando si espone la carta con una luce blu ma, quando si usa la luce verde, la curva dello strato sensibile solo al blu si sposterà a destra sul grafico, essendo molto poco sensibile a questa componente cromatica.

Come detto precedentemente, usando la luce bianca si deve usare la filtratura per sintesi sottrattiva; per far arrivare luce verde sulla carta è necessario eliminare la componente blu usando un filtro giallo; analogamente, per far arrivare luce blu sulla carta, è necessario filtrare la componente verde con un filtro magenta. Quindi nel corso del testo la frase luce blu si può intendere anche come filtratura magenta e la frase luce verde si può intendere come filtratura gialla.

Dal comportamento dei due strati di emulsione della carta VC si può immaginare che, variando senza soluzione di continuità  il colore della luce dal verde al blu (o filtrando dal magenta al giallo) la curva caratteristica dello strato sensibile solo al blu si sposterà lungo l’asse X delle esposizioni, dato che diventa meno sensibile man mano che la luce diventa più verde (o la filtratura diventa più gialla).

La variazione di contrasto delle carte VC avviene proprio grazie a questa differenza di sensibilità al variare del colore della luce.

La curva caratteristica delle carte VC

Le emulsioni dei due strati che compongono le carte a contrasto variabile hanno singolarmente una densità massima (D-max) molto più bassa della D-max di una normale carta da stampa, ma essendo entrambe stese su un unico foglio le densità dei singoli strati si sommano. La somma dei due strati porta la carta VC ad avere una D-max paragonabile a quella di una carta da stampa tradizionale.

Alla luce blu (quindi filtratura magenta) il contrasto della curva, risultante dalla somma delle singole densità dei due strati, è molto più alto rispetto al contrasto di ogni singolo strato, generando quindi una carta di gradazione dura, come si può vedere dall’Animazione 4

D= densità massima dei singoli strati
2xD= densità massima della somma delle densità dei singoli strati
la curva risultante ha una pendenza (contrasto) più alto delle singole curve

Come varia il contrasto

Variando il colore della luce dal blu al verde (o il colore della filtratura dal magenta al giallo, che è, come abbiamo visto, la stessa cosa) le curve dei singoli strati si separano a causa della minor sensibilità di uno strato alla luce verde. In questo caso la curva risultante sommando le singole densità dei vari strati avrà una pendenza, quindi un contrasto, minore; man mano che aumenta la componente verde della luce (attraverso la filtratura gialla) la curva effettiva della carta avrà un contrasto minore.

Quando le curve dei singoli strati sono separate in modo che quando finisce una comincia l’altra allora il contrasto (pendenza) della curva risultante sarà uguale al contrasto dei singoli strati che compongono l’emulsione della carta a contrasto variabile.

L’Animazione 6 mette in evidenza con una linea lampeggiante gialla che quando finisce la curva del verde subito comincia la curva del blu. In questa condizione la curva caratteristica, di colore nero, avrà una pendenza, quindi un contrasto, uguale al contrasto dei singoli strati, e infatti la curva nera si sovrappone alla curva del verde (e anche a quella del blu, dato che le due curve hanno lo stesso contrasto, cioé la stessa pendenza).

Gradazione 0 e 00

Se si aumenta ancora la componente verde della luce (si aumenta la filtratura gialla), la curva del blu si sposterà ulteriormente verso destra. Le proiezioni delle due curve non saranno più sovrapposte in alcun punto e si avrà un “buco” di densità nella somma delle due curve, dato che lo spazio lasciato aperto può essere colmato solo dalla densità della spalla della curva del verde, che non cresce più all’aumentare dell’esposizione.

Guardando la Figura 5 si vede che le esposizioni comprese tra exp-A (dove finisce la curva del verde) e exp-B (dove inizia la curva del blu) producono tutte la stessa densità D1, la massima densità possibile allo strato del verde. Aumentando l’esposizione ad un valore superiore a exp-B cominceranno a sommarsi le densità della curva del blu e la curva risultante ricomincerà a salire.

Fig.5

Con filtrature gialle molto pronunciate la curva ipotetica formata dall’azione dei due strati sarà molto piatta (contrasto molto basso) ma la curva reale presenterà delle distorsioni che si rifletteranno negativamente sulla riproduzione dei toni della stampa.

Funziona veramente cosi?

Per spiegare il meccanismo di funzionamento delle moderne carte a contrasto variabile sono state usate una serie di semplificazioni per una maggior comprensione di come avviene la variazione di contrasto in queste tipologie di prodotti.

Nella realtà, per migliorare l’andamento della curva caratteristica ed eliminare il più possibile le distorsioni che si possono presentare nell’unione delle componenti che agiscono all’interno dell’emulsione, i fabbricanti possono usare tre strati (sensibilizzati tutti al blu, uno al ciano (verde+blu) e uno al verde). In alcuni casi un singolo strato è esso stesso a sua volta composto da un emulsione a contrasto variabile, in composizioni di emulsioni e sensibilizzatori molto complesse.

Ad ogni buon conto, osservando delle curve caratteristiche di vere carte a contrasto variabile si possono trovare le tracce del meccanismo di funzionamento fin qui descritto.

Fig.6

Fig.7

Usando la massima filtratura gialla disponibile sulla testa colore del mio ingranditore si vede chiaramente, in Figura 6, che la carta Adox Vario Classic è formata da due strati (che però non sono simili nelle loro caratteristiche). Inoltre è ben visibile l’appiattimento della curva nel punto in cui i due strati interagiscono per formare la gradazione di contrasto più morbido.

In Figura 7 è riportata la curva caratteristica della Foma Fomabrom Variant 111 e anche in questo caso si vede chiaramente che questa carta è composta da tre strati, ma anche che ci sono tre avvallamenti nei punti in cui le curve caratteristiche dei singoli strati si uniscono nel formare la curva caratteristica effettiva di questa carta di stampa.

Puntiglio

Per amor di precisione non è esatto parlare di “strati” dato che in realtà l’emulsione delle carte VC è una emulsione unica, formata da granuli di alogenuro d’argento di diverse dimensioni ai quali vengono aggiunti dei sensibilizzatori cromatici –per rendere l’emulsione sensibile alla luce verde.

I sensibilizzatori cromatici si legano solo ai granuli di maggiori dimensioni, incorporando di fatto i due strati di cui abbiamo parlato in questo articolo in un unica emulsione che presenta caratteristiche diverse a seconda del colore della luce che la colpisce.

Fig.8

La messa a punto e la fabbricazione di una carta a contrasto variabile è un’operazione complessa e dispendiosa e della quale dobbiamo ringraziare tutti i fabbricanti impegnati ad offrirci prodotti di sempre maggior qualità e facilità di utilizzo; ricordiamocene ogni volta che guardiamo con soddisfazione la nostra ultima creazione in camera oscura.

 

 

Stampa: le gradazioni di contrasto

Un vecchio adagio della fotografia recita:

esponi per le ombre e sviluppa per le alteluci

che in pratica riassume il fatto che la densità delle ombre nel negativo viene definita da quanta esposizione hanno avuto in ripresa (e assai poco dallo sviluppo), e che la densità delle alteluci viene influenzata in gran parte da quanto sviluppo viene dato alla pellicola.

Spesso all’adagio sopra segue anche l’equivalente per la stampa:

esponi per le luci e regola il contrasto per le ombre

che in pratica significa scegliere sul provino a scalare il corretto tempo di esposizione basandosi sulle tonalità più chiare e modificare la gradazione di contrasto della carta per regolare i toni scuri.

Ma siamo sicuri che sia veramente così?

Se analizziamo quanto succede alla pellicola quando viene immersa nello sviluppo in effetti possiamo renderci conto di quanto sia vero il primo adagio: le ombre (le parti più trasparenti del negativo) si sviluppano nei primi 2-3 minuti di trattamento dopo di ché, anche aumentando in maniera esagerata il tempo di sviluppo, non guadagneranno in densità in maniera sostanziale. L’unico modo per aumentare la densità delle ombre è quello di aumentare l’esposizione.

Al contrario l’azione del rivelatore sulle luci continua per tutto il tempo che la pellicola rimane immersa nello sviluppo e, per ottenere un giusto livello di contrasto, è necessario interrompere il trattamento nel momento in cui le alteluci raggiungono una densità tale da poterci fornire un negativo ben stampabile. Aumentando o diminuendo il tempo di sviluppo si è in grado di regolare la densità delle alteluci e di fatto la pellicola non viene mai sviluppata fino in fondo.

Lo stesso non può dirsi invece per il secondo adagio e dando una scorsa alle curve caratteristiche della carta ci si può rendere conto di come il fatto di regolare l’esposizione sulle luci e il contrasto sulle ombre sia solo un fatto di comodità.

In questa illustrazione sono riportate le curve caratteristiche della Foma Fomabrom Variant. Analizzando le curve si può vedere che nelle alteluci le curve sono molto vicine tra di loro, cioé cambiando gradazione di carta il valore di grigio di questa zona cambia di poco. Spostandosi in alto sulle curve, dove la densità è più alta, quindi la carta è più nera, le curve si aprono a ventaglio: cambiando la gradazione di contrasto i valori più scuri cambiano in maniera sostanziale, scurendosi sempre più man mano che la gradazione di contrasto cresce.

 

Esposizione basate sulle luci e contrasto sulle ombre

Agendo quindi secondo il detto esponi per le luci e regola il contrasto per le ombre, cambiando la gradazione di contrasto sposta di poco il valore di densità delle alteluci e molto quello delle ombre.

Ma cosa succede se si vuole invertire la situazione e basare l’esposizione della stampa sui toni più scuri? Anche in questo caso l’analisi delle curve caratteristiche può dirci come si comporteranno i materiali sensibili.

 

Esposizione basata sulle ombre e contrasto sulle luci

 

Scegliendo una tonalità scura come punto di riferimento per l’esposizione, cambiando la gradazione di contrasto sarà necessario modificare in modo molto più sostanziale rispetto alla situazione precedente il tempo di esposizione affinché il valore di grigio preso come riferimento rimanga costante cambiando la gradazione di contrasto. Nell’analisi delle curve caratteristiche questo significa che le curve devono essere traslate sull’asse dell’esposizione (asse X) affinché si sovrappongano in corrispondenza del valore di grigio scuro preso come riferimento. Nell’illustrazione è stato preso come riferimento un valore piuttosto scuro, con densità di 1.7. In questa situazione si può notare come adesso le curve si aprano a ventaglio nella parte bassa, dove le densità sono più chiare. In questa situazione cambiando la gradazione di contrasto saranno i toni chiari a modificarsi in maniera sostanziale.

Quindi il detto esponi per le luci e regola il contrasto per le ombre nasce non tanto da uno specifico comportamento dei materiali sensibili quanto da una comodità, dato che sulle tonalità chiare l’esposizione cambia poco al cambiare del contrasto, anche se sempre leggendo il grafico, per le gradazioni più contrastate la differenza di esposizione può arrivare fino ad 1/3 di stop, che non è poco per un valore chiaro e può fare la differenza tra una bella stampa e una stampa con alteluci spente.

Ma si può benissimo stampare basando l’esposizione su un tono scuro e regolare il contrasto sulle alteluci, ma con la scomodità di dover fare un provino a scalare ogni volta che si cambia la gradazione di contrasto per trovare il tempo di esposizione che renda il valore scuro di riferimento della stessa tonalità sulla nuova gradazione di contrasto.

Anche se tutto questo può sembrare un dissertazione teorica magari troppo complessa e di poca utilità pratica, si possono trovare situazioni in cui basare l’esposizione di stampa su un valore scuro può rivelarsi un sistema migliore, ad esempio in immagini in cui i valori scuri siano le parti più importanti o la cui resa sia fondamentale per la riuscita della stampa, oppure in casi in cui le uniche alteluci presenti siano troppo poche, piccole o di scarsa rilevanza per poter essere prese in considerazione come punto di riferimento.

In ogni caso una maggior conoscenza dei materiali sensibili può essere solo utile nel conseguimento della stampa “perfetta” e in quest’ottica il mio personalissimo consiglio è quello di rifare sempre un provino a scalare nel caso in cui si cambi la gradazione di contrasto, a prescindere dall’andamento delle curve caratteristiche o dagli adagi dei vecchi fotografi.